di Mauro Orlando
Il nostro viaggio mentale e spirituale continua con l’incontro Microcosmi eccellenti curata con intelligenza e passione da Federico Verderosa e animata da eccellenti racconti dei convenuti a Cairano 7x con i loro sogni-pratici di Movimenti resistenti, progetti militanti, curatori della natura in cerca dei materiali necessari per riconnettere nuovi saperi, nuove tecnologie e nuovi usi e soprattutto nuovi comportamenti e nuovi stili di vita…
Continua dunque nello spirito visionario e pratico di questa nostra scommessa che è stata ed è la Comunità provvisoria nel senso del viaggio e del nomadismo anche teoretico. Diffidiamo e attiviamo naturalmente il sospetto, il dubbio verso la stanzialità del logos e ci piace la fase dello stato nascente delle polis e al massimo ci impegniamo nelle fasi costituzionali di esse. Per noi la caverna platonica non è il rifugio dalla paura e dagli altri, non luogo di rifugio o accoglienza ma luogo della nascita del sogno e soprattutto l’occasione filosofica dell’attivazione della curiosità, la ricerca, la fantasia e la volontà di liberarsi dalle catene naturali, antiche e moderne di una dorata privacy per uscire fuori di essa per vivere la vera realtà degli uomini ed evitare la sedentarietà naturale e moderna come costrizione e esclusione. Siamo visionari non televisivi. La Comunità provvisoria ha intrapreso il suo viaggio due anni fa! In questo nostro rinnovato e provvisorio viaggio come Comunità, non in una sorta di ritorno identitario nell’inferno conradiano di una contemporanea e complessa Apocalypse now dei nostri moderni impauriti da i demoni cattivi di un occidente al tramonto ma nel gioco aurorale, leggero e piano della ricerca dell’io della nostalgia, della bellezza, della mitezza, del silenzio e delle malinconia. Il viaggio come metafora generale della nostra esperienza individuale-comunitaria. Il nostro viaggio comunitario è il classico viaggio eterno dove convivono a loro perfetto agio i profondi e doloranti sconforti di Franco con le argomentazioni più eterogenee dei cultori del logos, della doxa, dei sogni, della fantasia, dei professionisti delle tèkne e delle arti primarie e secondarie, la gentile ospitalità e accoglienza coniugata con i loro sogni compressi, smarriti e insidiati da terremoti vecchi e nuovi, dei ragazzi della Pro Loco di Cairano... non la ùbris dei santi, navigatori ed eroi in cerchi di isole o paradisi perduti. Scegliamo di viaggiare senza i confini e i pericoli della formalizzazione burocratica… di andare avanti in una cornice provvisoria che si allarga e si restringe, in cui si va e si viene liberamente. Vogliamo inventare anche un nuovo modo di fare un viaggio. Con uno spirito multiforme e misteriosa guidato assieme dalla motilità di Ermes e della razionalità creativa di Atena, le due divinità che lo proteggono con una natura molteplice, attiva e versatile. Può assumere tutte le forme, prendere tutte le strade, tendere verso tutte le direzioni in modo sinuoso e avvolgente. La sua natura è ricca di colori e di geroglifici, come un arazzo, un tappeto o un quadro. È artificioso come un’opera d’arte, intrisa di magmi notturni e di voli solari e segnata da costellazioni luminose, velato e misterioso come la rotta dei pirati dei ladri, dei trovatori, dei mercanti e degli amanti. Non abbiamo - ripeto - isole felici da raggiungere ma vogliamo vivere felici nella isola che ci è stata donata dai nostri padri con fatica e anche con gioia. Non abbiamo mondi da scoprire o da indicare ma vogliamo conoscere profondamente e far conoscere il territorio in cui siamo nati e vissuti non sempre con la comprensione e il rispetto di chi lo ha governato e sfruttato. Amiamo il viaggio per amore del viaggio come Gulliver e Robinson non con la malinconia lacerata di Amleto ma con la versatilità operosa di Ulisse. Abbiamo conoscenza delle insidie della malinconia e della nostalgia. Ma sappiamo per esperienza umana troppo umana che sono sentimenti che non si possono temere o tacere ma vivere nella loro diversità. La malinconia è insidiosa e la nostalgia è diversa, perché la nostalgia è un sentimento di assenza, cioè fondamentalmente di assenza ma che può essere recuperata con la memoria, il ricordo e sopratutto con il ritorno a casa e al proprio passato nei limiti del tempo possibile e della terra ridotta e curata dei padri. A patto che in questo nostro viaggio sia la nostalgia che la malinconia diventino sentimenti belli e attivi che ci costringono a superare la pigrizia, la noia, i rancori e le tristezze stimolando la voglia di intraprendere sempre nuovi viaggi dentro di noi e dentro la terra che ci è toccato di vivere..
Noi comunitari usiamo tutti i nostri artifici e magicherie per amore dell’Irpinia. Discutere di Microcomi eccellenti da pensare e praticare per noi equivale a un libro o una poesia di Franco Arminio, un racconto intrigante di Andrea Di Consolo, una magica canzone di Vinicio Capoesele o una lirica di Roberto Vecchioni, uno stuggente blues di Pasquale Innarello, le sonorità arcaiche e poetiche di Gaetano Calabrese ...si può entrare nell’anima dell’Irpinia facendosi trasportare in bella e allegra compagnia tra gli stridenti rumori ferrieri di una vecchia e vitale locomotiva del mitica Avellino -Rocchetta. Simbolo di questo modo di vedere il viaggio breve o lungo del notro vivere le amre l’Irpinia. Una locomotiva poco pretenziosa per scrivere Storia come nella canzone di Guccini ma che ha visto negli anni, vecchie e piccole storie ignobili di contadini e pastori nei viaggi tra paesi, campagna e città. Un locomotiva che ispirava i sogni e le paure dei bambini e «...sembrava fosse un mostro strano, che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano: ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite, sembrava avesse dentro un potere tremendo...» Mi piace infine ripetere la citazione di Paolo Rumiz che interpreta l’eventuale dolore e l’ulteriore crepa nella dolorante e terremotata terra d’Irpinia come scongiuro ad una eventualità della sua soppressione.
Egli così ce la ricorda: Cactus, cicale. - scrive nel suo romanzo Italia in seconda classe - Il treno si ferma in stazioncine deserte senza capostazione, senza biglietteria. Alcune sono murate, altre distrutte dai vandali. Sempre i banditi? No, la globalizzazione. Sono i rami secchi, potati dai governatori dei flussi. In burocratese si chiamano stazioni impresenziate, astuto eufemismo per mascherare lo smantellamento. La fine dei territori comincia così, col bar e la panetteria che chiude, poi con le stazioni del silenzio. Sento che comincia il viaggio in uno straordinario patrimonio dilapidato.
...e il viaggio continua...